Il maggio
Il “Maggio” è un’antica forma di teatro popolare. Nata sull'Appennino Toscano nell’800, si è presto diffusa anche nelle zone dell'Appennino Modenese e Reggiano, nei territori della Lucchesia, della Versilia, del Massese ed in altre zone ad essi limitrofe.
Il Maggio trae origine dalle sacre rappresentazioni medioevali ed il nome gli deriva dalle feste del mese Mariano.
Nel corso dei secoli, queste feste pian piano si sono trasformate raccogliendo “contaminazioni” di varia provenienza.
Da esse sono così nate diverse forme espressive, una delle quali, appunto, è il Maggio.
Il Maggio, e più propriamente il Maggio Drammatico, è la rappresentazione scenica, cantata, di un testo poetico in quartine o quintine di versi ottonari, opera di poeti popolari. In particolari circostanze le strofe in ottonari sono interrotte da ariette in settenari di sapore metastasiano, le “Scansifòle”. La musica è eseguita da un violino ed è sempre la stessa (tranne che nelle Scansifòle) per tutte le strofe. Per invitare al canto il “Maggiante”(1), il violino esegue un motivetto, il “Fioretto” che cessa non appena attacca la strofa. I “Fioretti” legano quindi le monotone strofe. Altre variazioni musicali sono il “Sonetto”, la “Lettera” e la “Moresca” o “Giostra”, una danza guerreggiata a duello (2).
Gli argomenti dei Maggi classici si rifanno, generalmente, ai poemi epici cavallereschi del Tasso e dell'Ariosto, a leggende medioevali, oppure, ma saltuariamente, anche a favole e racconti di fantasia. Più raro è un Maggio ispirato a personaggi storici o a fatti realmente accaduti (3). Ogni vicenda, comunque, è rivissuta ed arricchita dagli autori cui non fa certo difetto la fantasia (4).
Assistere ad un Maggio è un’occasione per tuffarsi nelle atmosfere cavalleresche che vengono inscenate attraverso il canto e la musica in una sobria e volutamente essenziale scenografia. La gestualità specifica e costante accompagna lo spettatore in un viaggio di simbologie che, insieme ai costumi caratteristici, e in uno stretto contatto con la natura, portano ad immedesimarsi attivamente nelle articolate azioni sceniche.
Le strofe di ogni singola rappresentazione sono, di solito, almeno 120 (anche se se ne trovano di oltre 300) e la durata di un Maggio va dalle tre alle quattro ore.
Il luogo dove viene “cantato” il Maggio è un luogo all’aperto: un'aia, un prato, una piazza, il sagrato di una chiesa sono i “teatri naturali” più ricorrenti. Le scene si susseguono all'interno di uno spazio circolare dove simbolicamente sono indicati i diversi luoghi della rappresentazione (castelli, boschi, fiumi. Per cui, un drappo azzurro a terra sarà un fiume o un mare, un ramo conficcato nel terreno rappresenterà un bosco o una foresta, alcune coperte appese ad un filo diventeranno le mura di una città, e così via). Tutto attorno alla scena, si dispongono gli spettatori.
Il "Maggiante" indossa costumi pazientemente ed amorevolmente confezionati in ambito familiare con massicce dosi di fantasia e dà vita ai vari personaggi con l’ausilio, oltre che del canto e dell'abbigliamento, anche del gesto che “ricorda grottescamente i guerrieri dei bassorilievi greci” (5).
I Maggianti, istruiti e diretti da un “capo Maggio”, non studiano la parte che viene,invece, suggerita loro sulla scena da un “Indettatore” o “Rotolante” che a volte è l’autore del Maggio o il Capo Maggio stesso (6).
NOTE :
(1) Così si chiama chi “canta il Maggio”.
(2) Questa “Giostra” è patrimonio dei Basatini (Basati è un paese dell’Alta Versilia): i Maggianti del Piano e quelli di Montignoso la escludono spesso dai loro Maggi. (Enrico Pea -“Il Maggio in Versilia, in Lucchesia e in Lunigiana” Carpena – Sarzana 1954. Pag. 64 )
(3) Fra questi “Balilla”, “I Vespri Siciliani” e “Niccolò de’ Lapi”. Maggio scritto da chi conobbe Massimo d’Azeglio, che abitò per molto tempo a Seravezza ed era familiare al popolo (E. Pea - cit. pag. 23-24).
(4) Il Palio dei Micci, per la sua enorme partecipazione popolare, deve quindi considerarsi, a pieno titolo, diretto discendente di questa antica forma di teatro popolare.
(5) E. Pea – cit. pag. 37.
(6) Si chiama: “Rotolante” quando comanda i movimenti e le azioni in genere. Si chiama: “Indettatore” quando suggerisce, negli orecchi dei Maggianti, le strofe. Il Rotolante è invisibile agli spettatori, anche se è sempre lì a ingombrare tra i personaggi. Lo spettatore non lo avverte. Parla a bassa voce. Fa uscire un personaggio e ne chiama un altro. Schiera gli armati e fissa la battaglia, indica chi deve morire. (E. Pea – cit – pag. 44)
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